Nel Mondo di Dolores Puthod

A Tradate una pittrice di fama mondiale, una mostra straordinaria di Dolores Puthod, con la visitazione di un mondo sempre affascinante, quello del teatro: Madame Puthod ha lavorato per molti anni a fianco di Nicola Benois, il grande scenografo della Scala di Milano. Con lui ha imparato ad amare il teatro e la musica. Il regno della rappresentazione è stato il suo mondo. Amica di Carla Fracci ha amato la danza, la plasticità dei movimenti, il fascino della figura umana nella sacralità delle movenze dettate dalla disciplina di Tersicore. Dolores Puthod ha vissuto d’arte e per l’arte. Presente in tante mostre nelle grandi città italiane, nell’ospitalità e nell’invito dì prestigiose gallerie del Nord e del Sud America, presente col Teatro alla Scala nei più bei teatri del mondo, attenta ai grandi valori dello spirito, sue le mostre di prezioso contenuto spirituale nella Città del Vaticano, vicina a Madre Teresa di Calcutta, sensibile al messaggio di Gandhi, rispettosa delle grandi manifestazioni religiose delle diverse correnti, Dolores Puthod, ci ha trasmesso uno straordinario messaggio di rispetto per i valori dello spirito. Il suo mondo, il mondo pittorico dei grandi temi religiosi, ci trasmette un messaggio di luce fraterna nel nostro tempo, dai Papi come Giovanni XXIII, col suo caldo invito alla bontà, carezza del mondo, dai rabbini che si consumano nello studio dei testi sacri, della Torah, per indicarci la via della salvezza, da Gandhi, l’asceta della non violenza che ci trasmette i valori del suo mondo, il mondo eterno delle domande che gli uomini continuano a porsi per carpire il segreto della vita, Dolores Puthod ci rivela la complessità della condizione umana nella sua visione del teatro legato ai grandi temi esistenziali. Il suo interesse e il suo amore per il teatro, per la stessa Commedia dell’Arte, non è altro se non l’interesse per la vita e la sua raffigurazione. Le Maschere della Commedia dell’Arte, sono gli immortali personaggi creati, forse, dal talento spontaneo dei teatranti, proposte di vita offerte a un pubblico aperto all’ascolto, qui rivelate in stupende creazioni pittoriche della nostra artista che consegna al pubblico di Tradate un’affascinante fioritura nelle sale della nostra Biblioteca e per la parte religiosa nella Chiesa del Santo Crocifisso, in Via del Crocifisso, che la onorano e ci onorano rendendoci partecipi del suo talento e della sua visione del mondo. Un suo suggestivo Arlecchino in vetrofusione policroma, in misura naturale, ha stabile residenza nel foyer del Piccolo Teatro di Milano. La mostra che Tradate è lieta e onorata di dedicare a Madame Dolores Puthod è in onore del suo ottantesimo compleanno. Grazie e tanti tanti auguri, Dolores.

Laura Fiorina Cavalotti, Tradate, marzo 2014
Sindaco del Comune di Tradate

 

Il policromo dinamismo delle figure

Quando il norvegese Edward Munch dipinge “L’urlo” siamo nel 1893. Grido di sconforto, di disperazione, di paura del futuro. Così viene interpretato e sarà questa la lettura che gli si vorrà dare per il nuovo secolo ormai alle porte, quel 1900 che sarà un periodo di morte, di guerre, di rivoluzioni, di campi di sterminio. Ma l’orizzonte in quel momento non poteva apparire così cupo. La Francia di Napoleone III aveva appena perso una breve guerra (1870) contro la Prussia di Bismarck, che poteva così dare vita all’Impero tedesco sotto lo scettro di Guglielmo I, unificando un Paese fino ad allora assai frammentario. Napoleone III era subito sparito dalla scena politica, esiliato in Inghilterra, dove morirà tre anni dopo, mentre la moglie, Eugenia de Montijo, L’elegante e bella regina di sangue spagnolo, gli sopravviverà a lungo. La Francia nel giro di due o tre anni paga cinque miliardi di franchi oro alla Germania per danni di guerra e si accorge di non essere affatto in condizioni precarie. Il prossimo futuro è anzi alquanto promettente, tanto che ben presto si comincerà a parlare di Belle époque. Inizio secolo dunque non tale da far pensare che si sarà alla vigilia di un periodo di rivoluzioni, di guerre, di campi di sterminio. Si entra in un secolo che potenzierà la grande rivoluzione tecnologica e scientifica cominciata nell’Ottocento. Per un pur breve accenno a quanto dobbiamo a poco più di duecento anni or sono, non possiamo ignorare l’invenzione della pila, la nascita della locomotiva, del telaio Jacquard, l’arrivo della lampada a incandescenza, il primo motore elettrico, l’elica, il telegrafo, il cemento armato, la macchina per cucire, la macchina per scrivere, il motore a scoppio, la turbina, il fucile a ripetizione, il telefono, l’auto, la radio, i concimi minerali ideati da Liebig. Col Novecento continua la corsa alla modernizzazione: arriva la bachelite, la prima materia plastica, l’aeroplano, il motore diesel, la radiografia, la televisione, l’energia nucleare, i voli interspaziali con l’approdo sulla Luna, il computer con relativa rivoluzione informatica, impensabili successi della chirurgia con ricorso ad organi artificiali del corpo umano. Due secoli di progressi enormi, mai conosciuti prima con tanta fecondità, ma pur anche tempi di impensabili stermini e di ricorso a crudeltà inenarrabili. L’arte quale strada avrebbe imboccato? Troppo spesso si è ironizzato sul nostro Marinetti, che il 20 febbraio 1909 pubblica sul parigino Figaro il manifesto che inneggia alla velocità, al trionfo di questa nuova realtà che rivoluzionerà la vita dell’uomo. D’Annunzio, raffinato poeta, insuperabile signore della parola, irride alle teorie di colui che giudica la corsa di un’automobile “più seducente della Vittoria di Samotracia” e lo definisce “un c… fosforescente”. Ma la velocità ha trionfato e noi ancora oggi ne siamo riconoscenti e debitori.

L’arte ne è uscita provata in questi ultimi due secoli e le strade che ci propongono sempre nuove interpretazioni delle problematiche umane sono innumerevoli, ma due in particolare hanno avuto il segno della profonda ribellione: il dadaismo che ha accusato di totale fallimento la cultura se il suo approdo ha toccato il porto della guerra, dove i giovani di tutto il mondo si sono dati appuntamento solo sui campi della morte, inequivocabile segno di fallimento della cultura e dei valori della creatività artistica, il cui rifugio è stato indicato nel surrealismo: l’arte di ascoltare il dettato dell’inconscio prima di essere filtrato dai privilegi della ragione. Il surrealismo, conquista postbellica uguale a libertà assoluta della creatività (non senza dimenticare un contributo a Freud) si apre all’espressione di mille avanguardie. Ma il mistero uomo rimane e il mondo della cultura, della scienza e dell’arte ne accuserà sempre il richiamo. Dolorès Puthod, francese di origine, nata a Milano, pittrice di fama mondiale, si è dedicata, senza mai alcuna esitazione, a osservare l’arte degli attori, a evocarne sulla tela la capacità espressiva, affidata al gesto, alla danza, al movimento, al talento di saper far vivere tutto ciò che li anima, testimonianze mute indispensabili a trasmettere il messaggio. Teatro e uomo: il grande mondo di Dolorès Puthod studiato sempre con estremo rigore per riproporlo con la sua arte forte, raffinata e in pari tempo di straordinaria fluidità e incisività, rivela sempre l’elegante sicurezza dei corpi in perfetto equilibrio. Raramente si trova tanta perfezione nel policromo dinamismo delle figure. Dolorès Puthod ha lavorato al Teatro alla Scala fin dal 1951, fin da quando aveva 17 anni. Ha lavorato accanto a Nicola Benois, scenografo di fama mondiale, e il suo mondo è stato l’universo del teatro, specchio della vita di ogni tempo e di ogni luogo. Lavorerà alla Scala per sempre, fino agli anni in cui, ormai appagata dalla sua grande avventura umana che l’ha portata a far conoscere il proprio talento di pittrice in tanti Paesi del mondo, ovunque ammirata , si è ritirata a vita privata, ciò che non ha voluto significare vivere nel ricordo del vissuto, ma continuare a dipingere, legata per sempre a un passato preziosamente ricco di testimonianze artistiche, nell’ eterno proporsi e riproporsi dell’ avventura umana. Il suo mondo creativo, la sua vasta opera, dominata dalle figure in movimento, dalla vivacità del colore, dalla sapienza dei movimenti sempre precisi e arditi, figli della cultura dinamica del balletto, testimoniano una forte sicurezza espressiva dettata dalla lunga frequentazione del palcoscenico. Grazie alla sua arte si ha l’impressione di ripercorrere, sostenuti dalla sua fantasia, l’avventura della Commedia dell’arte: con lei si frequentano le avventure dei comici, degli attori, che in compagnie girovaghe dai nomi bizzarri: ( I Confidenti, I Desiosi, Gli Accesi, I Fedeli ) dal XVI al XVIII secolo hanno percorso le strade di mezza Europa, intrattenendo un pubblico desideroso di divertirsi, ascoltando storie improvvisate, o di finta improvvisazione, proposte dagli attori per conquistare e mantenere il privilegio di dar vita a un personaggio fisso, una maschera teatrale in cui calarsi per divertire e in pari tempo per sfuggire alla tirannia degli autori. Eccoci dunque al trionfo popolare di Arlecchino (forse nato dalla fantasia francese col nome di Hellequin e portato al trionfo nella stessa Francia da Domenico Biancolelli (acrobata, funambolo, comico, bugiardo, finto sprovveduto, furbacchione), quella Francia che toccata dall’annuncio “E’ morto Arlecchino”, piange non soltanto il comico, ma l’artista di straordinario talento che aveva saputo conquistare intere platee. La stessa commozione arriverà al cuore degli italiani alla scomparsa di Marcello Moretti, nel 1961, l’artista, anch’egli funambolo di eccezione, che aveva stupito il mondo intero con la sua maestria, con la sua vis comica conservata intatta dall’eredità dei comici dell’arte, e da lui consegnata all’erede, non meno bravo del maestro, Ferruccio Soleri. Questo toccante omaggio al teatro lo troviamo nell’arte di Dolorés Puthod, nelle sue pitture dove il colore, la plasticità della danza e la potenza evocatrice della scena trionfano arricchendo la dinamica estrosità dei personaggi che la pittrice ha saputo far vivere con una forza di presa immediata, perché la sua tecnica ha il potere di far rispettare ciò che lei stessa ha amato e che ci trasmette con un suggerimento di squisita freschezza. Se per lei il teatro è stato fonte di ispirazione e di vita, per noi diventa testimonianza di cultura, di conoscenza. Dal 3 maggio all’8 giugno le viene dedicata una mostra, qui nelle sale del Museo Biblioteca Frera, in cui riscoprire la freschezza del suo grande amore per il mondo del teatro e per tutta l’arte di coloro che hanno vissuto per dedicare il loro talento all’attenzione del pubblico.

Silvio Locatelli, Tradate, febbraio 2014
Scrittore

 

Dolores Puthod - Il canto del colore

La nostra città è uno dei luoghi di riferimento nella storia di Dolores Puthod. Qui la scenografa e artista ha esposto in più occasioni e qui ha voluto tornare per festeggiare i suoi 80 anni.
Il lungo percorso di ricerca compiuto è ben illustrato dalla carrellata di opere che documentano lo sviluppo di una pittura, che si fonda sul segno tracciato con grande naturalezza per definire forme e spazi per poi esaltarsi nella poesia e nel canto del colore.
L’artista sa raccontare i suoi personaggi - quelli che escono dalle quinte e dalle invenzioni del teatro, ma anche quelli ripresi dalla realtà - con una adesione intima che la rende partecipe dei movimenti, delle azioni, ma anche delle malinconie o delle felicità che li animano. Singolare è quel narrare che si distende sul foglio senza bisogno di costruire prospettive o di individuare spazi perché bastano quei segni che suggeriscono le forme, più che definirle, per dare corpo ad una spazialità fatta di poco o di nulla eppure decisamente efficace e suggestiva. I colori hanno funzione accessoria anche quando sembrano prendere il sopravvento: eccoli comparire con guizzi improvvisi, qua e là, a guidare l’occhio e il pensiero di chi guarda o distendersi in calcolate e calibrate armonie su tutta la superficie. E in questo si riconosce bene il travaso delle esperienze dal mondo del teatro a quello della pittura, così come dentro tutto è leggibile il gusto e il piacere con cui l’artista vive ogni attimo della sua esistenza. Quando poi l’attenzione punta verso l’alto, “alla ricerca di Dio”, tutto si trasfigura mostrando come l’uomo abbia in sé la capacità di andare oltre...
Prosegua così, Dolores Puthod, per sé ma anche per noi.

Luigi Cavadini, Como, febbraio 2014
Assessore alla Cultura
Comune di Como

 

Dolores Puthod - l’attrattiva della trascendenza

É stata una felice intuizione quella di proporre – nel contesto di una articolata esposizione cittadina delle opere della Sig. ra Puthod – anche quelle legate al tema del sacro.
Nonostante il processo di secolarizzazione segni ogni giorno di più – almeno nel mondo occidentale nel quale viviamo – la quotidianità di tante persone, istituzioni e svariate forme di attività, il senso del sacro resta insopprimibile nell’ambito della ricerca di senso dell’esperienza umana. Respinto da una parte, spesso in forme pregiudiziali e infastidite, emerge – non senza talvolta segni di qualche ambiguità – da un’altra, anche in modi sorprendenti perché l’uomo, nel momento in cui scopre i propri limiti creaturali, sente l’attrattiva della trascendenza, intuisce al di là dell’evidenza sensibile i presagi di una presenza altra e avverte la necessità di un linguaggio specifico che non si lasci intimidire dal freddo lessico della tecnologia imperante.Volentieri abbiamo dunque accolto la proposta di ospitare nell’antica basilica di S.Giacomo alcune opere della Sig.ra Puthod che nella Sua fecondissima, pluriennale e notevole produzione artistica, non ha disdegnato di cimentarsi anche con temi religiosi raggiungendo risultati di inequivocabile qualità.
Lo dimostra tra l’altro il fatto della presenza di opere Sue nella Collezione d’Arte Religiosa Moderna in Vaticano, nata per volontà di Papa Paolo VI nel 1973, Pontefice quanto mai sensibile nella sua acuta modernità, al valore dell’Arte contemporanea e al necessario recupero del dialogo tra questa e la Fede.
Alla Sig.ra Puthod, agli Organizzatori di questo evento e a quanti l’hanno reso possibile va il nostro ringraziamento più vivo con l’augurio di un felice successo.

Mons. Guido Calvi, Como, febbraio 2014
Presidente Commissione
Diocesana di Arte Sacra.

 

Scintille di energia

...Sono stato informato sull'Esposizione Antologica Itinerante in occasione degli ottant'anni di Dolores Puthod, con particolare riferimento allo "spazio mistico" connesso con l'interreligiosità.
La prima tappa del "viaggio artistico" è prevista a Como, Spazio Ratti, ex chiesa di San Francesco, dal 29 marzo al 28 Aprile 2014.
Se pensiamo al percorso professionale di Dolores Puthod, scenografa del Teatro alla Scala di Milano, si affacciano alla memoria scintille di energia, movimento, sconfinato amore per la musica, la danza e il teatro. La sua pittura è celebrazione della plasticità del corpo umano, della sua bellezza, in cui l'uomo diviene il fulcro del suo universo pittorico, così che danza e musica classica diventano elementi fondamentali, ricorrenti in quasi tutti i quadri di Dolores.
Auspico un grande successo per la rassegna...

Gianfranco Cardinal Ravasi,
Città del Vaticano, febbraio 2014
Presidente Pontificium
Consilium de Cultura - Città del Vaticano

 

Dolores Puthod - l’altra verità della realtà

Tra le vastissime contrastanti correnti dell'arte di questi ultimi decenni, l'opera di Dolorès Puthod raggiunge una sua precisa collocazione, che la distingue e la regge per le sue qualità singolari.
Queste vengono da una cultura, da un principio espressivo e da un metodo di lavoro non tanto diversi quanto estranei a quelli prevalenti da noi, seppure contaminati dalle grandi esperienze internazionali ma non trattenuti all'interno di un clima tutto italiano, novecentesco, pur con tutte le sue divaricazioni, o marginali applicazioni.
È che la nostra ha una nascita, se non anagrafica, certamente francese, che portata e sviluppata qui da noi, si è ancora più confermata nel carattere e nei principi dell'artista d'oltralpe, che ha sentito il suo lavoro come una sfida e la proclamazione della più completa autonomia culturale quanto etnica.
La pittura della Puthod trova infatti ispirazioni e convergenze con quella francese, anche se con quella parte di questa che ha più guardato la nostra, fino alla celebrazione e allo scambio più intenso. Addirittura con gelosi, affascinati tentativi di appropriazione; più precisamente possiamo riferirci alle opere del ventoso e sconvolto inizio e centro del Settecento con ai vertici Alessandro Magnasco e G.B. Piranesi.
Se sostate, colpiti da un grande quadro della Puthod, specie quelli con le grandi scene di rappresentazione dove si muovono centinaia di volti e di luci , non potete non riconoscere il rapporto con il nostro Settecento che, magari filtrato attraverso il primo impressionismo, costituisce il fondo culturale di questa nostra coraggiosa pittrice; coraggiosa anche per il suo impegno di lavoro e per la sua volontà di riuscire a rappresentare una realtà totale, i termini di fondo di un movimento umano che coinvolge una folla e un evento. Tutto questo attraverso i segni di una robusta lezione della realtà sulla realtà, dovuta proprio alla qualità della pittura, alle sue dimensioni, ai suoi bianchi che la svolgono come una gremita e acida progressione. Non è solo una pittura di rappresentazione perchè il suo segno e la sua misura sono assolutamente esterni, critici, riuscendo a penetrare dentro il soggetto con la materia cromatica e la sua tortuosa manipolazione ad arrivare a comporre un'altra verità, sia delle figure che di tutta la composizione.
Qui gioca un'altra componente culturale, direi un'altra fissazione artistica della nostra francese, che è la sua adesione appassionata alla Commedia dell'Arte, alla spettacolarità teatrale. Le figure nel paesaggio, le varie maschere usate dalla Puthod, hanno la stessa misura e lo stesso rapporto con il paesaggio intorno, dei nostri maestri settecenteschi, con il gesto intorno tutto dichiarato e svolto secondo i modi di un capitan Fracassa o di un Arlecchino; modi spigolosi e scostanti che danno il senso della rapidità come della scrosciante emotività. Dolorès Puthod è infatti stata molto spesso vicina alle rappresentazioni dei nostri maggiori teatri arrivando a condurre una specie di gara fra l'agile rappresentazione degli attori e saltimbanchi e la sua capacità di coglierne i gesti all'istante, con acute, pittoriche e con il clamore vociante di vocali ricongiunte da un capo all'altro della pennellata.
Questa non diventa mai una pittura di studio o di genere proprio per l'intensità cromatica e la velocità di rappresentazione e proprio perchè certi colori più teneri che potremmo dire vocali si impastano dei suoni e dei motti della scena e del suo contorno.
Molto altro sarebbe da dire sui quadri delle maschere della Puthod o su quelli più normali che la conducono per le strade del ritratto personale, delle nature morte e degli scorci d'interno. Ma la grande qualità della Puthod e la sua tenuta davvero sorprendente, dobbiamo ammirarle nelle grandi opere dipinte per La Scala dentro e fuori lo spettacolo che duplicanolo spettacolo senza però copiarlo, spostando in contrapposizione la sede stessa ove si compie, alzando con impeto le strutture teatrali, mobili o fisse, o quelle della Galleria milanese. La cultura e la personalità dei personaggi rappresentati vivi e morti animano e uniti rattristano una continuità scenica superiore alla stessa realtà e producono quell'incanto che al teatro consente di superare la morte; così anche per la citazione e ripresa di tanti teatri e di tanti passaggi inarrestabili che sono la vita del teatro, ma anche la rivoluzione del suo inganno davanti alla società avida. Costituiscono, queste opere, un grande omaggio a Milano, alla sua cultura e alla sua tradizione e danno pittoricamente il senso di come certe profondità culturali della nostra metropoli siano ancora vive, proprio perché attaccate da quel bianco maligno della Puthod che sfrigge per indicare pieghe, sconnessioni, cadute e per dichiarare che la grande scena non è poi fatta tutta di forza e di opulenza, ma denuncia tutti quei risvolti che mettono, almeno da principio, in un artista sensibile dubbi e sospetti. È qui però che la pittura della Puthod non cede alla sua stessa irritabilità materica e morale ma riesce ha gonfiarsi e a sostenere il grande tripudio di un proponimento nuovo.

Paolo Volponi, Urbino, agosto 1994
Scrittore